La retorica di “sangue e suolo” produce solo una cosa: il tetano

Quali sono i tratti distintivi del nuovo fascismo?
Il nuovo fascismo italiano in realtà è poco originale: rimane una macchina simbolica per la costruzione di nemici fittizi e comunità inventate. Nella sua struttura retorica replica alcuni luoghi comuni di ogni ideologia reazionaria.
Prendiamo l’idea dello “straniero violentatore” o del “negro violentatore”: se ne servivano già in Alabama all’epoca dei linciaggi per disciplinare le masse di schiavi appena liberati. Finché erano schiavi nessuno parlava di stupri compiuti da neri su donne bianche. Non erano un fatto, non esistevano (mentre al contrario era la norma che le schiave nere fossero stuprate dai bianchi). Quando gli schiavi furono liberati partirono le retoriche sugli stupri di donne bianche da parte dei neri. E quindi si moltiplicarono i linciaggi, coi quali non si punivano sommariamente gli stupratori: piuttosto si terrorizzavano i neri per renderli docili e sottomessi. Tanto che i suprematisti bianchi linciavano anche le donne nere. Anzi: prima di linciarle, le donne nere le stupravano. Insomma, l’inversione del ruolo tra vittima e carnefici.
Che poi è un altro tratto distintivo delle retoriche del fascismo e delle ideologie reazionarie (“Siamo noi quelli emarginati”, “Noi italiani siamo discriminati”, il tutto condito con dosi di vittimismo passivo-aggressivo).
Un altro ingrediente del loro bricolage indigesto è la “sostituzione etnica”. Un film già visto, andato in onda in bianco e nero negli stati del sud, negli Stati Uniti, nel diciannovesimo secolo, prima ancora che Georges Méliès mandasse il suo razzo sulla luna. Dicevano: non liberate gli schiavi, fateli lavorare nei campi. Altrimenti si impossesseranno della nazione col loro numero e la contamineranno con la loro ignoranza. Ovviamente non è successo.
Però quella della lotta contro la promiscuità in nome della purezza è un’altra strategia discorsiva tipica dei fascismi, vecchi o nuovi che siano: l’ossessione per la purezza, che è tutta simbolica e costruita culturalmente, ma che viene però naturalizzata, è un altro dei loro “miti”. E poi certo: per cavalcare il rancore sociale, ovviamente il sangue e il suolo.
Tutta questa retorica di “sangue e suolo” però è tutt’altro che igienica. Come sostiene Karl Kraus, produce solo una cosa: il tetano.
Qual è l’approccio del nuovo fascismo ai poveri, gli emarginati, italiani e non?
Ripeto: niente di nuovo sotto il sole. Rimaniamo all'ideologia razzista degli stati del sud dopo la guerra civile americana. Usavano il razzismo per dividere la working class multiculturale. In Italia oggi c'è una trasformazione in corso della composizione della classe lavoratrice: la vecchia classe operaia si sta trasformando in una nuova classe lavoratrice multiculturale. Basta andare nelle campagne e vedere chi viene assunto nelle cooperative che potano le vigne in questi giorni o che raccolgono le olive a novembre. Sono lavoratori immigrati del sud del mondo, che talvolta lavorano a fianco di immigrati dell'Europa dell'est e di altri italiani. Il gioco è quello di stratificare e segmentare per evitare forme di solidarietà tra lavoratori. Mettere gli sfruttati gli uni contro gli altri. Fare la guerra tra poveri, che di norma è vinta dai ricchi.
Si racconta ad esempio che gli immigrati rubino il lavoro o abbassino i salari, ma la verità è che in certi settori i lavoratori stranieri sono i più conflittuali (pensiamo alla logistica). Accadeva lo stesso negli Stati Uniti nel diciannovesimo secolo: la forza lavoro degli ex schiavi andava irreggimentata e il razzismo era un modo per privarli di diritti, ricattarli e al tempo stesso dividere gli interessi della working class. Si occultava il fatto che la donna bianca operaia della filanda e il nero che lavorava nei campi di tabacco avevano gli stessi interessi contro un nemico comune.
Come oggi la commessa di Zara e il facchino rumeno della logistica, che però si percepiscono come distanti (come ben ci racconta Marta Fana nel suo Non è lavoro, è sfruttamento).
Quindi il fascismo è in realtà uno strumento per dividere la classe, ricompattandola in comunità fittizie e immaginarie (gli italiani verso gli stranieri, gli autoctoni contro gli immigrati). Comunità che però sono prive di conflittualità politica: ordinate, obbedienti, sottomesse. Un sindacato fascista è il sogno di ogni imprenditore: è un sindacato bianco, collabora a estendere lo sfruttamento, non può metterlo in discussione. Sposterà sempre la colpa, col metodo del benealtrismo, verso altri obiettivi, lontani dal padrone: gli stranieri, qualche complotto o magari gli ebrei, le banche o una indistinta serie di “poteri forti”. A cui non si darà mai il nome del proprietario specifico di un’azienda.
Prendendo spunto da una delle campagne inaugurate da poco dalla Lega della terra, “Donne e caporalato”, dove le donne braccianti sono viste come la rovina della famiglia tradizionale (in cui la donna sta a casa e bada al marito e ai figli), cosa si nasconde dietro la propaganda fascista sulle “nostre donne”?
L’espressione le nostre donne è un esempio di paternalismo e suprematismo maschilista rozzo, volgare e ignobile.
L'ideologia fascista è maschilista e patriarcale. Vuole le donne assoggettate e sottomesse al maschio, vuole che stiano “al loro posto”. Il fascismo è anche un’ideologia di controllo delle donne e il suprematismo maschile è un elemento di questa ideologia.
C'è un bellissimo libro di uno studioso tedesco, Fantasie virili di Klaus Theweleit, che spiega come i nazisti vedevano le donne. La donna è percepita attraverso due stereotipi: la puttana rossa o l'infermiera bianca. Ossia o prostituta o mamma. Guai a far saltare questa cornice uscendo dal ruolo codificato. In realtà la situazione delle donne braccianti è diversa da zona a zona. Alla retorica del fascismo si possono sommare retoriche paternaliste che hanno altre origini (contadine, cattoliche, ecc.). Le situazioni possono variare.
Un caso che sfiora la barbarie, per quel che ho letto (perché non ho conoscenza di prima mano) è quello delle braccianti rumene delle serre del ragusano, dove la situazione è simile di nuovo allo schiavismo nei campi di cotone. E alla negazione dei diritti sul lavoro si aggiunge il fatto che le donne sono anche ricattate sessualmente (Angela Davis mostrava come le schiave, rispetto agli uomini schiavi, oltre alle mutilazioni e alla frusta fossero anche esposte allo stupro come elemento per disciplinare le lavoratrici).
C'è quindi un ritorno al fascismo, alla barbarie e allo schiavismo, ma non sono elementi irrazionali: sono gestiti, dosati, fanno parte di un piano. Di fronte alla crisi, la soluzione più semplice è comprimere i diritti dei lavoratori, guadagnare sui profitti, mettere gli sfruttati gli uni contro gli altri e irreggimentare la società. Il fascismo a questo serve. Questo fa.
In cosa è menzognera e contraddittoria la propaganda fascista sui diritti dei lavoratori, sul fatto che “quando c’era Lui” i lavoratori fossero tutelati e si vivesse meglio?
Di recente nessuno è riuscito a metterla giù più sinteticamente di Wu Ming 1 in quattro brevi messaggi su Twitter: “L’articolo 18 dello statuto dei lavoratori del 1970 è stato conquistato con le lotte dell’autunno caldo (1969) da operai in larga maggioranza iscritti alla Cgil. Anche la pensione sociale viene introdotta nel 1969. C’era ancora il duce nel 1969? Le casse di previdenza, poi, sono state fondate nel 1898 e sono divenute obbligatorie nel 1919, tre anni prima della marcia su Roma. Quanto alla sanità, il diritto alla salute viene introdotto nella Costituzione (non l’ha scritta il Duce ma quelli che l’hanno appeso), il Ministero della sanità è istituito nel 1956, il sistema sanitario nazionale è del 1978”.
Insomma, è una balla. ll fascismo ha un’altra caratteristica: è un’ideologia che deve celare la verità. Semplifica, banalizza e mistifica: perché serve a mascherare la realtà, per dominarla e imbrigliarla.
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Stralci dell'intervista sono apparsi nell'articolo "La battaglia del grano: Forza Nuova in campagna" uscito sul Fatto Quotidiano a firma di Maria Panariello e Maurizio Franco.