Controfigure di qualcun altro, o di noi stessi - Gabriele Ottaviani da Convenzionali

Nulla fa più male del tradimento. Anche se al tempo stesso va detto onestamente che non esiste niente in verità di più prevedibile e ovvio, e prenderne atto e coscienza al di là delle illusioni non può che rendere i rapporti più maturi, adulti, consapevoli. La fedeltà sempiterna è impossibile, è contro la natura stessa delle cose, che non sono mai uguali a sé medesime, anzi, sono fatte per cambiare di continuo. Cambiano le persone, talvolta in meglio, più spesso in peggio. Cambiano gli amori. Le passioni. Gli ideali. Mutano le dinamiche. Muta la società. Ognuno, del resto, non fa altro nella vita e a contatto con gli altri, da cui è impossibile isolarsi, perché siamo animali sociali, che cercare affetto. Amore. Accettazione. Approvazione. Considerazione. Stima. Umanità. Ognuno, per fare questo, indossa una maschera. Interpreta un ruolo. Si comporta nel modo in cui il prossimo si aspetta, nella maniera che fa sì che il prossimo lo apprezzi. Siamo tutti, in fondo, in misura maggiore o minore, controfigure di qualcun altro. O di noi stessi. Perché comprendiamo parti più audaci e porzioni d’anima più fragili, sogni e speranze. Siamo vasti, conteniamo moltitudini, come diceva il poeta. Ed Eduardo, madre boliviana, papà ungherese, dirigente non ancora trentenne dell’organizzazione giovanile del Partito socialista operaio del suo paese quando il muro di Berlino sta per sfarinarsi, comunista fervente e appassionato, affabulatore sublime e colto, vent’anni dopo farà una fine davvero inaspettata, quantomeno per chi lo ha conosciuto: cosa è accaduto nel frattempo? Per saperlo non si può prescindere dalla lettura di questo romanzo che, come un fiume carsico, indaga con una prosa ampia e credibile le profondità della natura umana. Da non perdere.